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Nei panni di mia moglie

"Nei panni di mia moglie" pubblicato da Editrice Nuovi Autori

Imago mortis - un'esca per la regina nera

"IMMAGO MORTIS- un'esca per la regina nera" pubblicato da Il Filo


Arianna… ovvero il mare d'inverno

di Andrea Saviano

SOMMARIO
01 - L'incontro
02 - La graaticola
03 - La telefonata
04 - L'appuntamento
05 - La cena
06 - Il mare
07 - Sogno o son desta
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NOTA DELL'AUTORE

"Arianna… ovvero il mare d'inverno" è un breve romanzo fantastico nato nel 1999 proprio da una discussione avuta sule sensazione che si provano di fronte al mare d'inverno.
Pur non essendo autobiografico i protagonisti s'ispirano idealmente ai protagonisti di quella discussione (Arianna di Jesolo e il sottoscritto, Ivano Arsanade = Andrea Saviano anagrammato).
In realtà il mare d'inverno è un pretesto per parlare della mutabilità delle sensazioni che l'essere umano prova di fronte a cose e persone giocando sul filo "rosa" dell'inamoramento.
Arianna dventa così il contenitore "fantastico" per sogno e della realtà, perché non esiste nulla che sia oggettivo, giacché l'osservatore in quanto tale percepisce (cioè vede e sente) in maniere soggettiva.

Reputiamo che l'onestà stia nel dire le cose come stanno,
ma non esiste imparzialità se gli occhi vedono e il cuore sente,
è per questo che il fulmine ci colpisce nell'innamoramento,
tuttavia ciò che appare a volte non è così come lo vediamo,
ecco perché il sentimento che s'affida alla ragione per parlare,
ecco perché è facile dire "mi piaci" ma non altrettanto "ti amo".

I L'incontro


Quel giorno era una fredda sera come ce ne sono nel bel mezzo di un gelido inverno sulla costa adriatica del Veneto. La bora sferzava qualsiasi cosa s'azzardasse percorrere le strade e persino le onde del mare sembravano rabbrividire di fronte a tutti quei gradi sotto zero.

Arianna, seppur completamente avvolta nel suo piumino, era intirizzita dal freddo e avrebbe desiderato essere diretta verso casa piuttosto che a un appuntamento galante.

Erano anni che a quelle latitudini non si raggiungevano temperature così basse. Se fosse piovuto qualcosa dal cielo sicuramente sarebbe stata neve con fiocchi talmente grandi da sembrare cenci.

Nonostante il vento lo sconsigliasse, la ragazza alzò lo sguardo. Non lo fece per vedere dove stesse mettendo i piedi ma per la strana sensazione di non essere sola in quel viale.

Verificare quel sospetto le costò una sofferenza indicibile, perché il vento non solo era così teso e gelido da tagliare letteralmente la pelle screpolandola; ma trasformava gli spruzzi delle onde in miriadi di aghi di ghiaccio che poi punzecchiavano gli occhi.

Resistendo al dolore riuscì a intravvedere un'ombra e, aguzzando la vista, a mettere a fuoco un'immagine.

Era un maschio di razza caucasica dall'età imprecisata, i cui capelli particolarmente lunghi garrivano al vento facendo assomigliare la testa a un romantico castello medioevale pieno di torri e stendardi. Un'alternativa meno romantica sarebbe stata quella che l'uomo, assomigliando alla mitica Medusa, avesse in testa un intricato ammasso di serpi vive.

Mano a mano che la distanza tra loro si riduceva, emergevano altri dettagli. Il mento non era celato da una sciarpa ma da una barba folta e ben curata che sembrava tempestata da minuscoli diamanti.

Probabilmente si trattava di condensa, piccole gocce dovute all'alito che s'era ghiacciato.

Nel mezzo – cioè tra la barba e i capelli – un naso rosso da quanto era intirizzito dal freddo e due fessure (al posto degli occhi) impellicciate da due folte sopraciglia.

Camminava deciso, a passi distesi, come nulla fosse nonostante la rigidità del tempo e sebbene il cappotto che indossava sembrasse per inadatto a quel clima.

Il bavero alzato rivelava la presenza di una sciarpa avvolta attorno al collo per proteggere la gola, ma quel misero straccetto era di certo poca cosa per fornire calore al resto del corpo.

L'uomo si fermò e anche Arianna inspiegabilmente s'arrestò, protesse gli occhi con la mano e si mise a osservare curiosa costui.

Fu colpita dalle mani (particolarmente grandi) e dalle dita (lunghe e affusolate).

Con tutto il desiderio che fino a un attimo prima aveva di tornarsene a casa al calduccio, era strano che se ne stesse lì impalata soffermandosi su tutti questi futili particolari.

Forse la passione per la pittura e gli studi artistici fatti in gioventù potevano giustificare la cosa. Cosicché, ora stava portando utilizzando la memoria come una tavolozza su cui disegnare, con tratti forti e decisi, il maestoso abbozzo di un affresco dal titolo: la tempesta.

La ragazza esclamò senza nemmeno rendersene conto: « Che strano personaggio! »

Ciò che lei vedeva con gli occhi della fantasia era un cavaliere errante d'altri tempi alla ricerca di un drago da uccidere oppure di una gentildonna da salvare. Tutto ciò rendevano lo straniero un uomo affascinante e misterioso oltre ogni logica (anche se di razionalità in un vagheggiamento ce ne può essere ben poca).

Incuriosita proseguì il suo esame visivo rimanendo colpita dalle calzature: un paio di stivaletti in pelle senza l'accenno di tacco. Unita la cosa all'andatura leggera, quasi impalpabile che pareva accarezzare il pavimento più che calpestarlo, le fece supporre che si trattasse di un ballerino.

Al di là di ogni fantasticheria, era di sicuro molto alto, come minimo un metro e novanta, se non di più.

Con quel clima di sicuro non ci sarebbe stata l'opportunità di aprire un cavalletto e dipingere la scena, tuttavia sarebbe bastata una macchina fotografica per immortalare lo scenario irreale creato da quel viale, dal bel tenebroso e dal clima: una strana prospettiva su un suggestivo sfondo grigio-azzurro.

L'insieme (uomo e fondale) dava all'intera scena un'aria particolarmente seducente. Arianna pensò che quella sarebbe stata una mirabile inquadratura cinematografica. Di quelle studiate, cercate e volute da un acclamato regista.

Avesse avuto lì il suo cavalletto e tutta l'attrezzatura necessaria le sarebbe bastato un altro colpo di pennello ed ecco che il dipinto sarebbe stato ultimato!

Invece, poteva solo contare solo su un bizzarro affresco eseguito sulle pareti della propria memoria per farlo durare inalterato almeno il tempo di giungere a casa e metterlo su tela.

Avvinta dallo spettacolo, se non fosse stato per il terrificante freddo e il vento che pareva ululare, Arianna avrebbe giurato d'essere all'interno di una deserta sala cinematografica. Unica spettatrice di un film europeo dai tempi dilatati e dall'uso senza fine del piano sequenza.

Uno di quei celebrati film pieni di premi che però sono una noia unica per gli spettatori. Oddio, per tutti ma non per Arianna che pareva l'unica interessata e coinvolta a quella silenziosa trama.

Fosse stato per lei, sarebbe rimasta lì zitta e immobile tutto il tempo necessario ad assistere a quello spettacolo, ma la silenziosa staticità della scena fu rotta da alcune parole che, senza alcun dubbio, erano state rivolte a lei. Perciò, chiamata in causa, tornò dal mondo dei sogni a quello dei vivi.

« Scusi, cerco la sede della CONFESERCENTI, saprebbe mica indicarmi dov'è? »

Trovò la voce di quello sconosciuto calda, profonda e penetrante; in un solo temine suadente e quella frase (di per sé banale) l'aveva colpita al petto come un proiettile di caldo cioccolato fondente sparato al cuore.

Lei non rispose. Indugiò un attimo, rimanendo silente. Lui immobile attendeva. Il risultato fu che entrambi parevano imprigionati in un fermo immagine.

Incapace di controbattere, Arianna lo guardava intensamente ammaliata dagli occhi verdi che la stavano fissando.

Sebbene fosse ben imbottita, ebbe la strana impressione d'essere nuda e ciò le provocò un brivido lungo la schiena.

Probabilmente si trattava del dubbio che lui le stesse leggendo i più intimi pensieri, quelli scandalosi che (passato il momento) si nega a se stessi d'averli fatti a causa del successivo senso di vergogna che si prova.

Le folte sopracciglia dell'uomo si corrugarono manifestando un mutamento nell'espressione. Qualcosa era accaduto e l'equilibrio instabile che aveva mantenuto tutto immobile per alcuni minuti s'era irrimediabilmente rotto.

« Signorina, mi perdoni, cerco la sede della CONFESERCENTI. Lei sa dov'è o no? Signorina! »

Arianna fece un ulteriore sforzo per riemergere dai propri sogni.

« Fa lo stesso, » disse lui in tono esasperato, « chiederò quest'informazione a qualcun altro sempre che io incroci qualcuno con questo tempo! »

« No, cioè sì, cioè lo so, » disse Arianna ancora sospesa tra sogno e realtà, « è che m'ero un po'... »

« Lei s'era un po' cosa? »

« Un po' persa in certi miei pensieri, » disse non sapendo cos'altro dire.

Lo straniero scosse la testa mentre, attraverso la barba ghiacciata, la bocca s'apriva in un largo sorriso.

Qualcosa d'inspiegabile rendeva quell'uomo attraente come mai era accaduto prima ad Arianna e ciò nonostante lei non avesse mai creduto ai colpi di fulmine.

Provò ad ancorarsi all'idea d'essere già impegnata con un fidanzato, ma la cosa non pareva porla in salvo, la fantasia ormai la stava trascinando via quasi fosse un treno in corsa che reputi superfluo doversi fermarsi in qualsiasi stazione.

Come un flash le balenò una constatazione: nulla nella sua vita passata era mai stato simile allo sconvolgimento interiore che stava provando. Un senso d'indolenza piacevole, qualcosa di simile a quello che si prova nell'abbandonarsi a un caldo abbraccio durante un momento di sconforto.

Nonostante non reputasse il tizio bello come un modello da fotoromanzo ne era irrimediabilmente attratta.

« Allora? » Chiese lui.

« Allora cosa? » Chiese lei.

« La sede della CONFESERCENTI, » ribadì lui, in un dialogo tra sordi che stava assumendo i contorni di uno sketch comico. Chiamata in causa dal ciack del regista, Arianna avrebbe dovuto smettere d'improvvisare per assecondare la trama di quel film, ma dov'era la sua copia della sceneggiatura? Che personaggio doveva interpretare in quella trama: lo spettatore, la comparsa o la protagonista?

Il rumore di una macchina parve distrarre l'uomo mentre Arianna, immobile, rimase a fissarne il profilo.

Era la prima volta che si soffermava su simili particolari, solitamente si sarebbe limitata a buttare un occhio al sedere e alle spalle come un benzinaio avrebbe fatto con il livello dell'olio e dell'acqua.

« Signorina è fortunata che siamo in inverno, » disse all'improvviso lui.

« Perché? » « Perché con la bocca spalancata a quel modo le sarebbero entrate in bocca le mosche! »

« Mi scusi ero stata rapita dai miei pensieri. Come dico sempre io, ero andata in oca. »

« Allora, restando in tema: la sede della CONFESERCENTI è molto distante da qua, qua, qua? »

Risero entrambi, rompendo quella situazione di reciproco imbarazzo.

Nonostante fosse già in ritardo con l'appuntamento che aveva con il fidanzato, la ragazza disse: « No, ti... ops, l'accompagno io! É qui vicino, solo qualche isolato più in là. »

Tutto sommato il ”moroso” era abituato ad aspettarla per ore e quella non sarebbe di certo stata né la prima né l'ultima volta che lei sarebbe arrivata in ritardo.

Anzi, ormai arrivare in ritardo ai loro appuntamenti era un'abitudine ben consolidata e, come ben si sa, le tradizioni vanno rispettate!

Inoltre, era indubbio che la loro relazione stesse languendo, ridotta più ad una semplice consuetudine che a un reale legame affettivo.

« Mi vuole accompagnare con questo freddo! No, non si disturbi. Mi basta sapere qual è la direzione giusta, poi m'arrangio da solo. »

« Si figuri, lo faccio con piacere, » affermò con una strana luce maliziosa negli occhi.

« Signorina, per favore, non mi dia del lei. Il lei mi fa provare un certo imbarazzo e poi, soprattutto, mi fa sentire vecchio. Diamoci del tu! »

« Lei... scusa, tu non sei di queste parti. Sembri forestiero dal modo di parlare. »

« Se intendi che non sono di Jesolo, hai ragione. Però sono di qui vicino. Sono un cosiddetto “negro della laguna”, come ci chiamate voi. Io preferisco il riferimento più colto del Goldoni, cioè che sono “baruffante”. Poi cos'altro di negativo solitamente dite voi della provincia su noi chioggiotti? »

« Che siete molto simpatici, » rispose la ragazza, « A sentirti parlare non si direbbe che sei di Chioggia. Non hai la cadenza tipica delle tue parti! »

« Hai ragione non ho la singolare cantilena quasi slava dei miei compaesani. A ogni modo, mi sono dovuto trasferire per motivi di lavoro nei dintorni di Roma. Vivo in un luogo ameno tra i castelli romani: Nemi. Conosci la cittadina? S'affaccia sull'omonimo lago d'origine vulcanica. Ar massimo, er minimo che te posso da' è sto dialetto da Arbertone nostro, » aggiunse ridendo.

A quel finale romanesco, Arianna rise.

« Sul serio, voi chioggiotti siete gente simpatica, mi piace il tuo paese. Chioggia ha una vitalità tutta particolare, quando cammini lungo il corso tutta quella gente che passeggia o è seduta ai bar a qualsiasi ora del giorno, d'estate come d'inverno. Poi il mercato del pesce, così caratteristico! Anche Sottomarina, nonostante la sua edilizia anni '70, è meglio di questo mortorio. »

« Direi che non ami particolarmente Jesolo. »

« In realtà io sono di Venezia, non di Jesolo. »

« Meglio tacere allora, da buon chioggiotto avrei troppe malignità da dire su un ”alleato” che durante l'invasione genovese ci ha “aiutò” radendoci al suolo a suon di cannonate! »

« Allora da veneziana ti chiedo scusa, » disse lei ridendo.

« Senti, mi sembri intirizzita dal freddo. Che ne dici di prendere insieme qualcosa di caldo al bar. Offro io, così mi sdebito per la tua cortesia. »

« Sì, volentieri, » fu la risposta entusiasta.


II La graticola


Arianna era così eccitata da quell'incontro che avrebbe risposto con un sì anche alla domanda: « Verresti con me in capo al mondo? »

« Non c'è magari un locale che abbia una vista sul litorale? » Chiese lui. « Sai sono nato a poche decine di metri dalla spiaggia e da neonato la risacca mi faceva da ninna nanna. Il mare ce l'ho nel sangue, è qualcosa di più forte di me! » « A me, sinceramente, il mare d'inverno mette tristezza: alberghi chiusi e manifesti già sbiaditi di pubblicità, un po' come la canzone di Loredana Bertè, non so se la conosci. »

« La conosco bene quella canzone e, visto il tempo, aggiungerei: questo vento agita anche me! Ma visto che sei di Venezia vedrei più indicato l'Adagio di Albinoni. Voi veneziani avete l'autunno nel cuore, perché (con la persona giusta) anche il mare d'inverno ha il suo fascino. Tu hai il ragazzo? »

“Che strana domanda!” pensò lei, più che altro perché tale quesito era stato buttato lì in maniera quasi estemporanea. “Non starà per caso sondando il terreno?” fu la considerazione successiva. Dopodiché, esitando, rispose: « Sì, » poi subito si corresse, « volevo dire no, » quindi ribadì, « non ho nessun ragazzo. »

A causa di questa bugia le guance le si fecero improvvisamente più rosse di quanto già il freddo non le avesse rese tali. Tuttavia, affermando d'essere fidanzata avrebbe eretto un muro tra loro. Insomma, sarebbe stato come porgli un “chi va là”.

Tutto ciò però non le impediva di sentirsi terribilmente stupida e imbarazzata, perché in realtà nemmeno lei sapeva bene cosa voleva diventasse quel fortuito incontro.

« Sì o no? Cos'è, tu ne sei innamorata, ma lui non lo sa? Se le cose stanno così, dovresti dirglielo! Sei simpatica e carina, non credo che faticheresti a conquistare il suo cuore. » Le parole erano pronunciate lente. Volutamente allusive e, al tempo stesso, imbarazzate. « In particolare, se glielo dici guardandolo intensamente così come stai facendo adesso con me, credo che non avrebbe scampo. »

Quindi rimasero in un imbarazzante silenzio fino a quando non giunsero davanti all'ingresso di un bar. Qui lui s'affrettò ad aprirle la porta.

« Entra pure... »

Quella riapertura del dialogo tra i due indusse la ragazza una reazione istintiva.

« Arianna, » disse una prima volta incerta, poi ribadì con voce ferma, « mi chiamo Arianna! »

« Bel nome, come la protagonista del mito di Teseo. Hai presente la storia del filo d'Arianna? Ah, che sbadato, non mi sono neanche presentato! Io mi chiamo Ivano, purtroppo come “il terribile”. Altri personaggi famosi non mi vengono in mente! » Lei, troppo presa dai propri pensieri, era altrove rapita dalla fantasia: nel deserto come in “Lawrence d'Arabia”; nella Jungla come in “Greystoke - La legenda di Tarzan”; a Tara, la piantagione di “Via col vento”.

Presente eppure assente, non recepì effettivamente quel nome. Era come se le labbra di lui si fossero mosse, ma senza emettere alcun suono.

Nel frattempo, da vero gentiluomo d'altri tempi, lui s'era tolto il guanto per farle il baciamano.

Arianna trovò quel contatto particolarmente gradevole. La pelle era morbida e liscia, molto piacevole al tatto. La successiva stretta era forte e al tempo stesso delicata, quasi si trattasse di un tenero abbraccio.

Ancora una volta, invece di andare sul concreto s'era ritrovata a cogliere particolari su cui spesso e volentieri avrebbe sorvolato e pensò: “Un uomo galante, quale rarità!”

Doveva assolutamente cogliere l'occasione che le s'era presentata, per cui – riemergendo dalle nebbie in cui s'era perduta – chiese repentina: « Tu sei fidanzato? »

La domanda colse l'uomo in contropiede.

« Fidanzato, di questi tempi è una parola un po' grossa. Come risponderesti tu? Sì e no! Insomma, frequento un'amica. » « È di queste parti? »

« Non proprio. Direi l'esatto contrario. Lei vive piuttosto distante da qui. La considero solo un'amica proprio perché non ci vediamo molto spesso. Ti va una cioccolata calda? » Aggiunse lui quasi a portare il discorso altrove.

« Sì, volentieri. »

« Tornando ai nostri discorsi, l'aspirante “tuo ragazzo” di dov'è? »

« Non è “aspirante”, è il mio ragazzo. Lui vive a Venezia. Oddio, non proprio, al Lido. È uno studente universitario e di solito c'incontriamo a Venezia, dove io lavoro. »

« Così hai un fidanzato ed è del Lido. Conosco bene il posto, ci ho fatto il militare un bel po' di anni fa. »

« Lagunare? »

« Sì, san Marco! »

« Hai qualcosa contro i veneziani? »

« Come ti ho già detto, salvo il fatto che a partire dal 22 dicembre 1379, col pretesto di liberare la città dai genovesi, abbiano rasa al suolo la mia città natale a colpi di cannone, nulla! Per il resto cosa ti posso dire? Veneziani entrambi, farete razza. Scherzi a parte, un ragazzo fortunato. »

« Fortunato? Questo è tutto da vedere. »

« Tornando a te, mi dicevi che svolgi la tua professione a Venezia e cosa fai di preciso per vivere? »

« Lavoro in una libreria, nulla d'impegnativo, solo libri per ragazzi. Insomma, niente di particolare. »

« Se mi dici dov'è, ci potrei fare volentieri un salto. »

« Non te la consiglio, non ne vale assolutamente la pena, credimi non c'è nulla d'interessante, a meno che tu non abbia dei bambini. »

Ancora una volta Arianna aveva gettato un sasso per poi ritrarre la mano.

« Bambini? No, non ne ho, ma ho una nipotina. Come vedi non è detto che in quel negozio non ci sia nulla d'interessante. Poi, lasciamelo dire, ci saresti tu e questo di per sé potrebbe essere già un buon motivo per farci una visitina. »

Mentre le diceva queste cose, fece un altro dei suoi sorrisi da “piacione” e, nonostante il termometro segnasse un inequivocabile 8° C sotto lo zero, Arianna si sentì squagliare come un ghiacciolo sotto il solleone d'Agosto.

Le gotte le erano tornate rosse come la porpora e si sentiva pervasa da uno strano stato interiore d'euforia mista a ebbrezza, la stessa che tende ad allentare i freni inibitori e che si prova dopo aver ingerito troppo alcool.

Ancora una volta Arianna era partita per la tangente, rivivendo l'incontro natalizio tra i protagonisti di “Serendipity - Quando l'amore è magia”, ma questa volta riuscì a riprendersi in tempo per cogliere il nome di famiglia di quell'uomo. « Arsanade? Che cognome insolito! Non sei un Boscolo? »

« No, la mia famiglia è originaria del sud d'Italia. Mio padre faceva l'operaio alla Montedison, » disse lui mentre s'affrettava a prendere lo scontrino e pagare il conto.

« Così, il tuo sarebbe un cognome tipico del sud, insomma da sudicione. »

Cogliendo nella frase un'ironia che nulla aveva a che spartire con il razzismo, lui ne rise, quindi la salutò allegramente e se n'andò, ringraziandola.

“Cielo!” Pensò lei all'improvviso, quasi un pizzicotto l'avesse svegliata dal torpore. “Lo potevo. No, lo dovevo accompagnare! Accidenti che stupida sono stata!”

Era ancora seduta al tavolino del bar con in mano la sua intonsa cioccolata fumante, quando invece sarebbe dovuta essere fuori, con lui, a fargli strada e a scambiare ancora qualche parola.

Le mancavano ancora un sacco d'informazioni sul conto di quel tizio: dove abitava, che numero di telefono avesse. Inoltre, non gli aveva detto: dove di preciso lei lavorava, gli orari della libreria e via dicendo.

Quante cose aveva da dire e invece... era ancora dentro al bar, seduta a un tavolino fissando una tazza di cioccolata fumante.

« Credi nei colpi di fulmine? » Sussurrò ironica a se stessa, conoscendo bene quale sarebbe stata fino al giorno prima la risposta.

Anche i più minimi dettagli di quello straniero le s'erano infissi nella memoria, quasi fossero chiodi e i battiti del cuore ancora in subbuglio ora le sembravano quelli di un martello che stesse spingendo quei rivetti metallici sempre più a fondo, fino a produrre un indelebile, dolce ricordo.

Riordinate le idee e tornata in sé, Arianna uscì dal bar ma troppo tardi. Ormai il viale era deserto e lei desolata. Correndo si sarebbe potuta dirigere verso la sede dei CONFESERCENTI, dopotutto era il luogo dove il misterioso straniero era diretto.

Si voltò in quella direzione ma fissando l'orologio si rese conto che il ritardo che aveva accumulato per l'incontro con il suo ragazzo era ormai mostruoso.

Quindi, con lo sguardo triste e basso, pensò bene di incamminarsi verso il luogo dell'appuntamento.

Si sentiva turbata da un intenso e insensato scoramento. Una specie di terribile nodo allo stomaco tanto assurdo quanto incredibile e (per quanto tentasse di razionalizzare la cosa) non riusciva a darsi pace.

Si sedette un momento su una panchina, nonostante il freddo, e provò a riflettere un attimo a mente fredda.

Forse, come aveva letto, la presenza di alti livelli di estradiolo l'avevano resa da sempre una ragazza d'indole infedele. Insomma, c'era chi nasceva moglie fedele chi invece, come lei, un po'... “disfa famiglie”. Che si trattasse della propria o di quelle altrui, questo poco importava.

Anche se esisteva un termine per indicare questo tipo di donne, Arianna non trovò il coraggio di attribuirlo a se stessa, perché anche lei apparteneva a coloro che la verginità non l'aveva perduta semmai “regalata”.

« Perduta, » sbottò, « che razza di termine. Se fosse qualcosa che si può perdere, allora da qualche parte la si potrebbe ritrovare! »

Uscì dal bar e si diresse al luogo dell'appuntamento. Giunse con un ritardo mostruoso all'appuntamento, ma il “moroso” non osò rimproverarla, forse perché il freddo e l'abitudine l'avevano labbra reso insensibile a ciò.

Arianna non trascorse dei minuti sereni e di sicuro non li fece passare al fidanzato, perché lo trattò in malo modo. Un trattamento del tutto immeritato nei confronti di qualcuno che, dopo averla attesa a lungo e al freddo, l'aveva accolta come un cane scodinzolante.

La serata si concluse quindi con una bella litigata, innescata, alimentata e voluta proprio da Arianna per potersi liberare di quell'impegno e così tornarsene a casa il prima possibile.

Tornata alla sua abitazione si sentì profondamente triste, non per quanto era accaduto con il fidanzato, ma perché a suo avviso s'era lasciata scappare l'uomo della sua vita.

Si accoccolò sul divano, senza nemmeno cenare, avvolgendosi in una calda coperta e lasciandosi scivolare in quel languore che pare essere quasi uno stato di noia alla vita stessa.

Nemmeno la telefonata di scuse del “moroso” riuscì a scuoterla da quel torpore. Quella, in fin dei conti, era solo stata l'ennesima riprova che in amore vince chi fugge e solo i disperati (non i più deboli)s'intestardiscono a inseguire ciò che non può essere raggiunto.

C'è un punto in cui l'amore non contraccambiato si scontra con la dignità e il rispetto che uno deve avere per se stesso e Arianna s'era posta ben oltre quel limite.

Cosicché la telefonata era stata troncata sul “saluto” di commiato dell'ex-fidanzato: « A questo punto vedi pure d'andare a fanc... »

Eppure il tono iniziale era stato di tono ben diverso. Pur essendo dalla parte della ragione, lui l'aveva chiamata e le aveva porto le proprie scuse (stese quasi si fosse trattato del tappetino rosso per le grandi occasioni). Lei, a questo tentativo di riavvicinamento, aveva risposto con disprezzo e alterigia. In fin dei conti perché mai avrebbe dovuto provare rispetto per un uomo così servile?

Era forse per questo che a quelle come lei dai piacevano i mascalzoni?

Terminata la telefonata, Arianna tornò nell'usuale stato d'assoluta apatia fissando le immagini che si succedevano nel televisore ma senza seguire le vicende che esse intendevano narrare.

Trascorse quasi tutta la sera imbambolata davanti allo schermo senza sentire le voci dei familiari, quasi il dardo di Cupido che l'aveva colpita l'avesse anestetizzata.

Non poteva permettere che quella storia fosse finita cosi, senza nemmeno iniziare! Doveva necessariamente inventarsi qualcosa ma cosa?

« Arianna vedi di aggrapparti su quel poco che hai! » Disse a se stessa.

Si concentrò sugli scarsi elementi che erano in suo possesso: il nome non lo ricordava, ma rammentava alla perfezione il cognome. Non era un Boscolo, un Tiozzo o un Penzo e questo avrebbe limitato notevolmente la ricerca sull'elenco telefonico, sempre fosse presente in quella lista.

Quasi destatasi dal sonno, s'alzò dal divano per dirigersi verso l'elenco abbonati. Sfogliò rapidamente le pagine del grosso volume e, infine, trovò quel cognome unico e raro.

« Dunque, Arsanade... Ivano! » Bastò questo per restituirle la gioia di vivere.

Guardò l'orologio, erano circa le 22:35.

« Che sia a casa? Di Sicuro! » Si domandò e si rispose ad alta voce.

Il problema, piuttosto, era un altro.

« Se lo chiamo a quest'ora non è che lo disturbo? »

La risposta a questa seconda domanda giunse dalle dita che già stavano componendo il elenco prefisso: 041.

Trattenne il respiro e attese, mentre sentiva che all'altro capo il telefono ormai squillava.

CONTINUA